Distacco dei conducenti: la Commissione bacchetta gli Stati, tra cui l’Italia, che, dopo averla invocata a gran voce, non hanno ancora recepito la Direttiva 2020/1057
Le norme sul distacco dei conducenti – elemento basilare per una lotta al dumping trasnazionale basato sul differenziale di costo del lavoro nei diversi Paesi dell’Unione Europea – costituiscono uno dei fiori all’occhiello del Pacchetto Mobilità entrato in vigore con la pubblicazione, sulla G.U.U.E. n. L49 del 31 luglio 2020 dei 3 Regolamenti e della Direttiva che lo costituiscono.
Com’è noto il Pacchetto è stato oggetto di un’aspra contrapposizione tra diversi schieramenti: da una parte il cosiddetto Patto di Visegrad, rinfoltito da alcuni altri Paesi dell’area occidentale dell’Unione, e l’ALLEANZA PER L’AUTOTRASPORTO – ROAD ALLIANCE, costituita tra 9 Paesi, tra i quali l’Italia, impegnati a ricercare di mettere un freno allo sfruttamento della manodopera ed a combattere il dumping sociale che ne è alla base, al fine di creare le condizioni per una concorrenza quanto più possibile trasparente tra le imprese ed i sistemi di trasporto dei vari Paesi della UE.
Per quanto concerne il distacco, nel pacchetto è contenuta la Direttiva U.E. 2020-1057 che rende, appunto, assai più cogenti i controlli e le sanzioni per i casi di utilizzo dei conducenti in trasporti operati in Paesi diversi da quello dell’impresa er la quale lavorano senza che ad essi vengano riconosciuti i compensi propri del Paese nel quale il trasporto di cabotaggio viene effettuato.
Le nuove norme dovevano essere attuate in tutta l’Unione entro il 2 febbraio 2022 ma sono ancora ben 22 gli Stati che non hanno ancora dato seguito alla trasposizione nelle proprie norme nazionali dei contenuti della Direttiva.
Agli Stati “recalcitranti” la Commissione ha inviato, lo scorso 14 marzo 2022 le lettere di avvio della procedura d’infrazione.
Lo scandalo politico – e il danno per le imprese di autotrasporto che operano sul mercato e che confidano in norme che consentano una concorrenza commerciale basata sulla qualità e non sullo sfruttamento illegale del differenziale di costo del lavoro – è tuttavia nel fatto che a non attuare la norma di garanzia sono proprio alcuni fra quegli Stati, come l’Italia, che più si erano battuti per una sua rapida approvazione.
Ed è invece singolare che ad essere in regola con i tempi di recepimento ed a farci la lezione sul nostro europeismo di facciata, siano alcuni dei Paesi che più avevano contestato il Pacchetto Mobilità.
Secondo la Commissione, infatti, gli Stati che non hanno applicato la Direttiva EU 2020/1057 entro i termini previsti sono Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovenia, Spagna, Svezia e Ungheria.
Più precisamente Germania, Belgio, Paesi Bassi, Spagna, Italia, Svezia e Austria non si sono conformati alla Direttiva EU 2020/1057, mentre Bulgaria, Ungheria, Croazia, Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia e Repubblica Ceca lo hanno fatto in ritardo.
Speriamo che Draghi abbia tempo di leggere la lettera di infrazione e che soprattutto voglia, con la sua autorevolezza, ricordare al proprio Governo ed al Parlamento che la costruzione di un mercato europeo dei trasporti legale, regolato e libero da distorsioni non è argomento da sventolare solo durante questa o quella campagna elettorale, in questo o quel talk show….