– Editoriale –
Siamo tutti sulla stessa barca?
Roma, 21 aprile 2020
“Siamo tutti sulla stessa barca”. La frase è stata riportata recentemente all’attenzione di noi tutti da Papa Francesco; è la stessa frase che abbiamo usato e sentito migliaia di volte, quasi svuotata di significato dall’abuso fattone in troppe occasioni. Tuttavia, quella stessa frase, se presa sul serio, come l’autorevolezza della fonte impone, ha – a prescindere dai risvolti religiosi, che in questa sede ovviamente non interessa considerare – una profondità e implicazioni enormi, anche per il nostro settore.
È vero che siamo abituati a frasi roboanti, strombazzate sui media che all’improvviso scompaiono. Ad esempio, ci dovrebbero spiegare, “quelli della decrescita felice”, come mai Il coronavirus (che quanto a decrescita non ha rivali) abbia prodotto lutti e rovine, ma certamente nessuna felicità. Nemmeno per i privilegiati – coloro che non hanno subito diminuzioni del proprio reddito – che hanno avuto, per giunta, la possibilità di risparmiare più del solito, vista la contemporanea chiusura di negozi e occasioni di svago. Persino benzina e gasolio sono scesi a livelli inimmaginabili. Con tutto ciò, non si trova una sola persona, neppure tra i cosiddetti privilegiati, che sia contenta di quel che sta succedendo.
Per dire come i fatti drammatici che stiamo vivendo abbiano la forza di spazzare via anche molte idiozie, poco più che slogan, su cui c’è il rammarico per il tempo e le parole sprecati, tipo quella di chi, appunto, fino a poco tempo fa, ha sproloquiato sulla bellezza di una decrescita economica, definita, bontà loro, “felice”.
Tra le amenità analoghe possiamo annoverare gli slogan sulla bellezza dei muri (reali o virtuali) a difesa della nostra sovranità. Andatelo a chiedere a chi vive di turismo, a un barista, a un ristoratore, quanto vanno meglio le cose, adesso che siamo tutti “ognuno a casa sua”.
Tornando al “siamo tutti sulla stessa barca”, è stato dimostrato come la sorprendente disciplina degli Italiani, nel rispettare le restrizioni varate dal Governo, ci abbia consentito di vincere la prima battaglia (frenare la pandemia) di una guerra che sarà lunga.
Con lo stesso spirito dovremo affrontare la così detta fase 2, della riapertura graduale delle attività economiche e sociali, sempre, ci auguriamo, nella logica dell’esser “tutti sulla stessa barca”.
La Politica deve trovare il giusto equilibrio tra le principali necessità dei cittadini: la salute e l’economia, con la consapevolezza che, oltre un certo limite, la seconda potrebbe diventare addirittura più urgente della prima.
Inoltre, in un sistema democratico occorre che le decisioni trovino la condivisione massima degli interessi legittimi in campo. È quest’ultima una condizione tutt’altro che secondaria per la tenuta del sistema e, fortunatamente, finora, c’è stata.
La coesione sociale è, appunto, “la barca” su cui siamo noi tutti: è un modo più complicato per esprimere la necessità di stare uniti, per avere più forza nell’affrontare le enormi difficoltà che abbiamo davanti.
Per quel che ci riguarda, a questo punto della storia, ho il timore che l’Autotrasporto stia correndo il rischio di venir “scaricato dalla barca”.
Abbiamo garantito, durante la crisi (ma lo si faceva anche prima), al Paese tutte le merci di cui ha avuto bisogno, continuando a farlo ogni giorno. Ricevendo in cambio tanti attestati di stima ed anche qualche modesto riconoscimento concreto.
Quello che però non si può pretendere è che si possa continuare a lavorare indebitandosi sempre di più.
Mi spiego meglio. A parte le debolezze storiche, che non sono scomparse, ci sono oggi due fattori che stanno provocando l’ulteriore indebitamento del settore: il primo, sono i clienti che non stanno pagando i trasporti ricevuti, imponendo dilazioni “a babbo morto”; il secondo, l’impossibilità, su molte percorrenze, di abbinare il viaggio di andata (carico), con il ritorno, da eseguire scarico, perché molte attività sono chiuse. Una situazione che rende impossibile il bilanciamento dei costi, facendo diventare addirittura preferibile tenere fermo il camion, piuttosto che farlo muovere con una tariffa che non può che coprire i costi di solo andata. È evidente che non prendersi carico di questa situazione, da parte del Governo, fa sentire i Trasportatori “sulla stessa barca” solo quando devono “dare”, e mai quando devono “ricevere”.
Ancora due argomenti, che impattano con la carenza di liquidità delle nostre imprese, su cui non si capisce perché il Governo, a quasi due mesi di lockdown, faccia finta di non sentire: pedaggi autostradali e assicurazioni.
Quello stesso Governo che – meritoriamente – è stato capace di imporre al sistema bancario e finanziario lo spostamento delle rate in scadenza di mutui, prestiti e leasing fino a settembre prossimo, appare timido nel chiedere di fare altrettanto ai Concessionari autostradali e alle Compagnie di assicurazione. Anche qui, è evidente che, considerando l’impatto di queste voci sui nostri costi aziendali, i Trasportatori “non stanno sulla stessa barca” dei loro importanti fornitori.
In realtà, il Governo è parso voler bypassare la questione “Autotrasporto”, derubricandola tra le “varie ed eventuali” della logistica ed impedendo che ne emergesse la specificità all’interno del variegato mondo delle PMI. A partire, ad esempio, dal tema della fragilità delle imprese di autotrasporto di fronte al sistema bancario, che avrebbe necessitato di strumenti appositi (tipo una garanzia pubblica al 100%, almeno fino a 100 mila euro per le PMI dell’Autotrasporto). Nell’insieme, un approccio istituzionale, a nostro avviso, non all’altezza dei problemi, non in grado di cogliere le nostre specifiche esigenze, che sta provocando questi ed altri danni.
Il Governo e, per sua vece, la Ministra De Micheli, dovrebbe farsi carico di recuperare, e in tempi immediati, il ritardo. Se ha un senso dire che, davvero, “siamo tutti sulla stessa barca”, prima che – per molti Trasportatori – fermarsi diventi, gioco forza, il male minore.
Altrimenti, siamo agli slogan, alla retorica della pacca sulle spalle. Roba che, di questi tempi, dà ancora più fastidio del solito.
Claudio Donati