– Editoriale –

SI VUOLE CHE SIANO I POLLI A MISURARE IL RATING DELL’ACQUA BOLLENTE?
Innanzi tutto riconosciamo che il Documento “Cascetta” centra efficacemente la situazione, dipingendo l’intermodalità italiana come una sommatoria di esperienze – più edili che infrastrutturali e logistiche – a vocazione prevalentemente localistica e, senza alcun disegno strategico. Con il risultato di un’inefficienza desolante e di una polverizzazione degli interventi e delle (poche) risorse disponibili.
Analogamente, come operatori dell’autotrasporto, concordiamo con Cascetta sulla necessità di un rilancio della competitività della logistica italiana, che passa anche attraverso un rilancio del trasporto, tanto marittimo che ferroviario, e del trasporto intermodale.
Aggiungerei che, dal nostro punto di osservazione, non solo non vediamo rischi di perdita di quote di mercato ma anzi, facciamo il tifo per un riequilibrio tra le varie modalità di trasporto.
Il problema è che, accanto a molti buoni propositi, negli ultimi 30 anni, la situazione non si è modificata, se non in direzione di un ulteriore sbilanciamento a favore della gomma.
L’ Accordo tra Governo e Associazioni dell’autotrasporto del novembre scorso, in base a cui fu concordato che una quota significativa della fiscalità prodotta dall’autotrasporto (le accise sui carburanti) venisse destinata per incentivare il rilancio delle modalità marittima e ferroviaria del trasporto delle merci è la prova lampante dell’approccio aperto e non corporativo del mondo dell’autotrasporto al tema.
Si tratta di un fatto concreto (e, per quel che ci risulta, finora unico) che vale, a partire dal primo gennaio dell’anno in corso e per il triennio 2016/2018, circa 180 milioni di euro: questi sono i soldi che l’autotrasporto – con enormi sacrifici – ha messo a disposizione del trasporto su nave e ferrovia per renderlo più competitivo.
L’aver constatato lo scarso apprezzamento riservato a questa vicenda – anche nello stesso Documento, oltre che da parte di molti interlocutori presenti all’incontro, non è un buon segnale per una discussione intellettualmente libera.
Per queste ragioni, mentre siamo fiduciosi sul fatto che le Istituzioni faranno in modo che le risorse così recuperate verranno utilmente impiegate allo scopo previsto, non mancheremo, per parte nostra, di esercitare il controllo necessario, al fine di assicurare le si utilizzi per determinare un reale incentivo a far sì che quote di merci si spostino dalla gomma al mare e al ferro (anche nel modo più immediato e banale: attraverso riduzioni dei noli tali da risultare più convenienti per i trasportatori dell’utilizzo della strada).
Venendo alle questioni più strutturali e strategiche, il fatto che una quota rilevantissima (il Documento indica addirittura il 90%) della merce in Italia viaggi su gomma, obbliga tutti gli interessati allo sviluppo logistico ad indagare sui motivi dello scarso successo delle altre modalità di trasporto.
A quanto indicato nel Documento ministeriale, ci limitiamo ad aggiungere che se il trasporto su gomma (il trasporto- si noti- non i trasportatori!) continua, nonostante tutto, a essere considerato dal mercato il vero protagonista, ciò dipende dal fatto che il rapporto qualità/prezzo del servizio di autotrasporto risulta, per i clienti, ancora oggi assolutamente superiore e più conveniente rispetto a ogni altra modalità.
Tale circostanza, non costituisce certamente un destino ineluttabile, né, tanto meno, è il frutto della capacità lobbistica degli Autotrasportatori.
Al contrario, è il risultato della generalizzata e trasversale miopia politica che ha contraddistinto le classi dirigenti dell’Italia degli ultimi 30 anni nel migliorare e rendere più appetibili le prestazioni delle altre modalità trasportistiche, segnatamente quelle pubbliche o a partecipazione statale, nonostante il vantaggio che l’essere una sorta di grande banchina tra tre mari fornisce naturalmente ad alcune di loro.
Per queste ragioni, risulta difficilmente accettabile, su un piano squisitamente logico che, a fronte di tali disastri, nessun responsabile sia mai stato individuato e chiamato a rispondere (quando non addirittura premiato a suon di buone uscite milionarie).
Nel settore privato e, segnatamente nell’autotrasporto, al contrario, un processo di scrematura e di vera e propria selezione darwiniana, c’è stato.
Un processo durissimo, tutt’altro che concluso, che ha lasciato sul campo circa 18 mila imprese, costrette alla chiusura negli ultimi 7 anni.
Questo è il contributo che il nostro settore ha dovuto pagare per recuperare efficienza.
Insomma, per dirla con un’espressione colorita, vorremmo che oggi si evitasse di “chiedere ai polli di misurare il rating dell’acqua bollente……”
Se si vuole evitare il rischio di una discussione che porti ad approdi concreti e in un tempo ragionevole (come, ad esempio, l’obiettivo indicato dal Documento di incrementare la quota ferroviaria del trasporto merci del 40% nel prossimo triennio) ci sono almeno due condizioni da rispettare:
- la necessità di “fare squadra” intorno alla strategia proposta (mettere a sistema la dotazione infrastrutturale attuale);
- la necessità di mettere in campo nei prossimi (e non pochi) anni una mole di investimenti assai importante per recuperare, almeno in parte, il gap infrastrutturale con gli altri Paesi individuabili come nostri competitori.
Sul primo punto, il compito appare arduo, se non si attua il recupero di poteri programmatori e decisori a livello centrale, tale da consentire l’attuazione delle scelte in tempi compatibili con le necessità del nostro sistema produttivo.
Si parte da un livello molto basso di affidabilità complessiva del contesto e, salvo eccezioni, di molti degli attori coinvolti.
In alcuni casi, le ferite, che l’esperienza trentennale ci consegna, non vedono esenti da responsabilità gli attori che oggi propongono ricette più o meno nuove.
Su questo terreno, sarebbe salutare qualche elemento progettuale di maggiore discontinuità.
Quanto al secondo aspetto, appare evidente la necessità, implicita nel progetto, di risorse finanziarie notevoli.
Teoricamente, si può pensare a diversi, ma non illimitati, canali di finanziamento e, pur essendo consapevoli delle difficoltà che ogni eventuale indicazione comporta, non si sfugge all’impressione che, senza risorse aggiuntive pubbliche, l’intento del documento è destinato a restare sulla carta.
In ogni caso, se appare poco praticabile la strada di attingere alla fiscalità generale, tantomeno, accettabile sarebbe quella di penalizzare altri settori, che risultano oggi più efficienti rispetto al trasporto ferroviario, trasformando un valore in una colpa.
Perché l’obiettivo non può essere quello di rendere il sistema nel suo insieme più inefficiente, ma dovrebbe essere esattamente il contrario.
D’altra parte, in termini generali, sostenere la competitività di un settore con risorse pubbliche è un ossimoro economico, come Bruxelles costantemente riafferma.
A noi sembra che attorno a queste due ultime questioni sia legittimo chiedere risposte chiare.
Per parte nostra, nel confermare sul primo punto (l’invito a fare squadra) la piena disponibilità, è lecito attendere che altri settori, imprenditoriali e non, diano segnali altrettanto forti e concreti, almeno pari a quelli finora forniti dall’autotrasporto.
Da ultimo, sarebbe utile, sempre al fine della miglior chiarezza, definire dell’eventuale progetto:
– le azioni concrete
– i tempi
– le modalità di attuazione
– gli eventuali relativi strumenti di sostegno finanziario.
Un dettaglio non marginale per passare, davvero, dalle parole ai fatti.
Claudio Donati