– Editoriale –

Protesta e Responsabilità
Roma, 31 maggio 2022
L’aggiornamento sulla questione gasolio è che i trasportatori che hanno veicoli euro 5 e 6 stanno ancora aspettando il credito d’imposta per il gasolio consumato nel primo trimestre 2022.
Si tratta di una misura indispensabile per riequilibrare la penalizzazione subita dai veicoli meno inquinanti (euro 5 e 6). Infatti, con il taglio orizzontale di 25 centesimi/litro dei carburanti, e la contestuale soppressione del rimborso di 21 centesimi/litro delle accise, riservato (fino al 21 marzo scorso) ai veicoli commerciali euro 5 e 6, questi ultimi sono stati effettivamente danneggiati. Aspettiamo, dunque, la pubblicazione del provvedimento che renda rapidamente utilizzabili le risorse stanziate, perché, tra le altre cose, l’esposizione finanziaria delle imprese sta andando oltre i limiti della tolleranza, in quanto, come è facile da capire, per comprare la stessa quantità di gasolio, occorre oggi quasi il doppio di quanto necessario appena tre mesi fa. Tuttavia, si può dire che, pur nella farraginosità dei meccanismi, il credito d’imposta dovrebbe, grosso modo, bilanciare la sperequazione venutasi a creare, almeno per il periodo relativo al primo semestre 2022.
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Ciò detto, alcune considerazioni, in una fase in cui, dopo le settimane burrascose delle proteste spontanee di febbraio, il settore al momento sembra attraversare una fase di apparente calma.
La politica, ritenendo che il problema c’è, se ci sono “casini”, tende a considerare superata l’emergenza-autotrasporto. Si tratta di un approccio tartufesco, privo del coraggio di volere entrare davvero nel merito dei problemi che stanno determinando una crisi irreversibile del settore; un approccio che potrebbe essere motivo non irrilevante per l’innesco di future proteste. Perché il vaso è colmo e, delle due, l’una: o si affronta davvero la questione delle regole, o sarà la protesta ad imporre l’ordine del giorno del confronto.
Non è affatto detto che la protesta escluda il confronto; anzi, se fatta con la testa, può renderlo assai più stringente. Di qui l’invito, rivolto un po’ a tutti, a non sottovalutare l’intelligenza dei trasportatori.
Si tratta di riflessioni che nascono guardando a che cosa avvenuto, nel frattempo, dopo la firma del famigerato protocollo d’intesa di febbraio.
In effetti, con apposito decreto, si è data piena attuazione alla più selvaggia delle liberalizzazioni per accedere a questa professione, togliendo ogni vincolo per accedere al mercato, che può avvenire adesso anche acquistando un veicolo euro zero, in barba a tutte le litanie sull’impatto ambientale. Non a caso si parla di un “decreto amazon”: l’indirizzo, dietro il paravento dell’Europa, è chiaro: zavorrare ulteriormente le ambizioni imprenditoriali di questo settore.
Nello stesso provvedimento ministeriale, al contrario, nessuno scrupolo c’è stato nel rinviare l’obbligo previsto dal Regolamento UE 1055/2020 sul requisito dello Stabilimento, che obbliga gli Stati dell’Unione Europea a definire i limiti (numero di veicoli e di addetti) entro cui, da un punto di vista sostanziale, va perimetrata l’attività di autotrasportatore e quando, al contrario, sotto le vesti del trasportatore, si nasconda l’attività di intermediario. Pesi e misure diversi, come si vede, a seconda degli interessi da toccare. Crea non poco sconforto doversi chiedere da che parte stia il Ministero, cioè lo Stato. Ma anche, che ci stanno a fare le Associazioni dell’autotrasporto al tavolo delle regole, se questi sono i risultati.
Si potrebbe aggiungere che nessuno si è scandalizzato del fatto che gli armatori (a cui rischia effettivamente di essere destinato il Marebonus) negli ultimi sei mesi abbiano applicato aumenti stratosferici dei noli dei traghetti (triplicati rispetto all’aumento del costo del carburante). Ma poi, vedendo la coda dei politici alle loro kermesse, la risposta è chiara.
Se mettiamo assieme i vari tasselli, si può vedere come, dalla rinuncia ai costi minimi obbligatori (scambiati con il palliativo dei valori di riferimento e con la clausola gasolio), al rinvio della disciplina sulla subvezione, alla rimozione della questione dei tempi di pagamento e del riconoscimento dei costi per i tempi di attesa ai punti di carico/scarico delle merci, le Regole (nonostante o, forse, grazie al Tavolo ministeriale) stiano evaporando.
Qualcuno sta scommettendo sul fatto che, comunque, ai trasportatori andrà bene così. Si tratta di una scommessa ad altissimo rischio, oltre tutto, in netta contraddizione con i richiami al senso di responsabilità.
Nel frattempo, lavoriamo per rendere gli imprenditori dell’autotrasporto sempre più consapevoli dei loro diritti, tra cui c’è certamente anche quello della protesta; che scatta, quando la responsabilità degli altri – politica o committenza – viene meno, con l’obiettivo di ristabilire il rispetto.
A me pare che, al di là di qualche tentativo di strumentalizzazione del malcontento (frutto di un vuoto politico evidente), si vadano ponendo le basi per una risposta da parte della categoria commisurata al trattamento ricevuto.
Il mondo della rappresentanza può anche decidere di restare a difesa dello “status quo” (più un po’ di soldi), ma deve sapere che rischia di essere visto come corresponsabile dei guai dell’autotrasporto – e proprio da quelli che dovrebbero sentirsi da lui rappresentati -.
Infine, un’osservazione sulla tanto osannata presenza della committenza al tavolo dell’autotrasporto. Come se non bastasse il suo peso incongruo sulle stesse sigle presenti nel Comitato Centrale per l’Albo degli Autotrasportatori, una tale impostazione, per avere un senso dovrebbe prevedere la reciprocità di coinvolgimento dei trasportatori, ad esempio, nell’organizzazione dei magazzini, delle aree portuali, etc. Che, al momento, è fantascienza.
Claudio Donati