Una delle risposte alla crisi data dai trasportatori intervistati (ma ce ne sono state molte altre, che la ricerca non prende, come è comprensibile, in esame: ad esempio, il progressivo spostamento dei confini della concorrenza ben oltre il limite della legalità) è stata il loro esodo verso l’est Europa: sono circa 2000 le imprese di trasporto, per un totale di 26 mila veicoli, che, in questi anni, se ne sono andate dall’Italia.
Da quanto sopra non poteva che derivare il terremoto abbattutosi sulle vendite di veicoli industriali: tra il 2008 e il 2013, infatti, le vendite sono letteralmente crollate ad un – 64%.
Vengono infine indicate le ragioni che hanno spinto i trasportatori a trasferirsi all’estero.
Le principali cause della delocalizzazione, in ordine di importanza, sono:
C’è materia abbondante per avere conferma della profondità della crisi, ma anche per coglierne gli effetti di destrutturazione del nostro settore.
Tema quest’ultimo, che sarebbe illusorio affrontare, da parte dei vari interlocutori coinvolti ( istituzioni, trasportatori e loro controparti economiche), col vecchio sistema dei “pannicelli caldi”.
Si pone, al contrario, la necessità di dare una nuova centralità all’autotrasporto nel dibattito politico nazionale.
Si pensi soltanto alla sproporzione tra l’enfasi riservata dai mass media alla crisi dell’Alitalia e il silenzio su una crisi 90 volte più grande – sottolineo: 90 volte! – quale quella che ha investito l’autotrasporto, per avere un’idea di quanto cammino abbiamo da fare.
Ci auguriamo che il nuovo Ministro, Graziano Delrio -, il cui curriculum politico ed istituzionale ci fa ben sperare – sappia cogliere appieno la rilevanza del problema e sappia ricordare che il ministero di cui è ora responsabile non è solo delle “infrastrutture” – come il dibattito di queste settimane potrebbe indurre a credere – ma anche, e principalmente, dei ”trasporti”.
Tanto più se è vero, come ogni persona di buon senso non può che riconoscere, che la realizzazione delle infrastrutture dovrebbe essere funzionale al miglioramento del sistema dei trasporti e non invece – come si continua prevalentemente a ritenere, nel nostro Paese – che la costruzione di opere debba servire, nei casi migliori, a creare lavoro, e nei peggiori (e più frequenti), serva semplicemente ad alimentare la corruzione.
Al nuovo Ministro vogliamo soprattutto rappresentare la necessità e l’urgenza di cambiamenti profondi nell’autotrasporto italiano e nelle sue imprese.
Un cambiamento necessario, certo, per consentire agli imprenditori del settore di avere un futuro; ma, ancor di più, per il suo carattere strategico, in quanto l’autotrasporto costituisce uno dei principali anelli portanti del sistema economico del Paese.
Ed un cambiamento urgente, in quanto la crisi non consente ulteriori margini di attesa e non ce la lasciano certo le aggressive iniziative dei sistemi imprenditoriali dei nostri partner europei.
Sottolineiamo, perciò, l’importanza della “riforma dell’autotrasporto” quale tassello fondamentale della politica economica italiana.
Alle nostre controparti economiche, cioè ai nostri clienti, suggeriamo di abbandonare il doppio binario del predicar bene e razzolare al contrario.
Non c’è più spazio per tollerare le quotidiane vessazioni da loro imposte a migliaia di trasportatori, in nome del mercato.
Se i committenti non vogliono essere considerati dei “bagarini” ed essere trattati di conseguenza, incomincino a comportarsi da imprenditori veri, rifuggendo da relazioni economiche con i propri vettori degne del terzo mondo.
Ai trasportatori, dal canto loro, va detto che non è più rinviabile la scelta tra l’essere imprenditore e continuare invece a far di tutto per restare alla mercé del proprio committente.
Si tratta di una scelta che li obbliga, oggi, non domani, a prendere il vero toro per le corna.
Il toro (o il tabù) è il rapporto con il cliente e, per affrontarlo in modo vincente, occorre sviluppare un “intelligente” senso di solidarietà tra colleghi, che non si basi solo sull’etica; ma, ancor prima, sulla consapevolezza della reciproca convenienza.
Per le associazioni, infine, è evidente che non sono più tempi per volare basso, se vogliono svolgere un ruolo di una qualche utilità per coloro che intendono rappresentare.
Forse, per arrivare a queste conclusioni, non c’era neppure bisogno di attendere la ricerca dell’UNRAE.
Di certo, tuttavia, essa ha avuto l’indiscutibile merito di rafforzare l’idea che bisogna cambiare musica e saper volare all’altezza dei problemi che abbiamo di fronte.
Claudio Donati
Segretario Generale di
TRANSFRIGOROUTE ITALIA ASSOTIR
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