– Editoriale –

La Commissione UE ci ricorda un’amnesia italiana: la violazione dei tempi di pagamento

Roma, 11 Dicembre 2017

La riattivazione della procedura di infrazione nei confronti dell’Italia, per i ritardi con cui gli enti pubblici pagano le fatture – dopo due anni di tempo concesso all’Italia, inutilmente,  da parte della Commissione UE – comporta per il nostro Paese il deferimento alla Corte di Giustizia Europea.

Non esattamente una passeggiata di salute, sul piano giuridico; ma, soprattutto, un fatto che, sul piano politico, è destinato a pesare sulla credibilità delle nostre istituzioni in Europa.

Ma, il fatto più grave è che viene ulteriormente indebolita la credibilità dello Stato agli occhi dei propri cittadini, specie se imprenditori.

Cosa c’entrano i trasportatori con tutto ciò? C’entrano, eccome!

Noi stiamo da anni chiedendo allo Stato Italiano di dare concreta applicazione alla norma europea, che stabilisce l’obbligatorietà del pagamento di ogni prestazione (quella di trasporto compresa) entro i 60 giorni successivi all’emissione della relativa fattura.

Invano! Perché abbiamo sempre trovato il muro di gomma della politica che ci ha fatto capire, in ogni occasione, che, pur dandoci ragione, non era possibile applicare quella legge, perché l’intero sistema economico italiano sarebbe saltato in aria.

Abbiamo allora chiesto una norma di portata assai più limitata, valida solo per le prestazioni di autotrasporto, ma anche lì stenta a venire avanti una proposta effettivamente condivisa.

Adesso scopriamo (si fa per dire) che il primo soggetto a violare la legge, che esso stesso si è dato, è addirittura lo Stato Italiano, quando, come Pubblica Amministrazione, diventa committente delle imprese private, che spesso paga “a babbo morto”.

E’ evidente che, stando così le cose, sarebbe stato arduo, comunque, ottenere un risultato utile per gli imprenditori italiani o anche soltanto per i trasportatori.

Quando è lo Stato a non rispettare la legge – dobbiamo ringraziare, una volta tanto, l’Europa, che per lo meno ha reso  chiara la situazione -, diventa difficile ogni tentativo di argomentare.

Diventa però molto più forte l’indignazione – che va oltre il merito dell’argomento – per l’indecenza di una situazione, nota a molti, ma da tutti tenuta in sordina, nell’ambito di una “normalità tutta italiana”.

La vicenda dovrebbe avere riflessi politici enormi, in un Paese normale. E invece è stata derubricata tra le “varie ed eventuali” dell’ agenda politica di ogni partito.

Noi pensiamo che l’autotrasporto italiano debba cogliere l’occasione della campagna elettorale per riproporre l’argomento.

Siamo curiosi di capire se qualcuno sapeva ma non poteva, o se qualcuno, potendo, non sapeva. E, soprattutto, vogliamo verificare se c’è qualcuno a cui interessa dare una soluzione a uno dei principali fattori di instabilità del nostro sistema economico: l’incertezza nei pagamenti, che spesso si tramuta in perdita.

Se, in definitiva, si possa pretendere che un imprenditore, oltre a far bene il proprio mestiere, debba  continuare a fare anche quello di “banca del proprio cliente”, che sia pubblico o privato.

Questo andazzo, censurato dalla UE, a voler pensarci bene, costituisce, oltre ad un evidente danno per gli imprenditori onesti, un terreno fertile per la circolazione di capitali di dubbia provenienza.

Sembra un azzardo, ma non più di tanto. Non fosse altro che, per la elementare legge della domanda e dell’offerta, se manca liquidità, il mercato va a cercarla dove la trova. Mai come in questo caso, vale il detto: pecunia non olet. Del resto, dati autorevoli al riguardo non mancano.

Ci piacerebbe che il tema impostoci dalla UE fosse preso in seria considerazione, e la Politica si ponesse l’obiettivo della soluzione, a prescindere dal deferimento dell’Italia alla Corte di Giustizia Europea.

Per quanto ci riguarda, lo ripeto, non mancheremo di farlo presente in tutte le sedi opportune.

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