Unatras ha deciso, all’unanimità, che con il Governo occorre cambiare musica.
Non c’è niente di temerario nella nostra posizione; anzi essa appare doverosa, dopo aver atteso inutilmente risposte sia dal precedente che dall’attuale esecutivo.
Il primo atto sarà la Giornata di Mobilitazione dell’Autotrasporto Italiano, il prossimo 18 marzo: in luoghi diversi e significativi del Paese si svolgeranno manifestazioni che vedranno protagonisti i trasportatori.
Sarà un primo segnale al Governo e alle Istituzioni che, ci auguriamo, venga raccolto.
Ma se non dovesse essere così, è molto probabile il ricorso a forme di protesta più incisive, che potrebbero arrivare anche al fermo nazionale del settore.
C’è determinazione nel seguire questo percorso, dopo che la disponibilità al confronto dimostrata da UNATRAS, probabilmente, è stata interpretata dallo stesso Governo come sintomo di debolezza.
Non siamo per le prove muscolari a ogni costo. Ma quando la misura è colma, bisognerà pure che ognuno si assuma la propria parte di responsabilità.
Quel che vorrei sottolineare è il valore strategico delle nostre richieste (vedi la news con il volantino di UNATRAS che riporta la piattaforma rivendicativa dell’Unione).
Una volta tanto, esse non riguardano i soldi: non si chiede un euro al Governo.
Gli vengono invece richieste regole e strumenti che consentano alle imprese sane di poter vivere e, magari, crescere.
E, nello stesso tempo, si chiede ai committenti di stare attenti a perseverare nei loro comportamenti vessatori nei confronti dei vettori, utilizzando anche comportamenti assolutamente illegittimi, ed al Governo di porre in essere norme efficaci per disincentivare e punire tali comportamenti.
I fatti e le circostanze indicati di seguito tornano utili per spiegare la portata di alcune richieste di UNATRAS, in particolare sui tempi di pagamento, la regolarità ed i costi di esercizio nell’autotrasporto.
TEMPI DI PAGAMENTO
La vicenda Artoni, ad esempio, esplosa in queste ultime settimane, che ha messo in mezzo ad una strada centinaia di trasportatori e migliaia di famiglie, porta alla luce del sole lo scandalo dei tempi di pagamento applicati ai trasportatori.
Ci sono imprese e subvettori (l’indotto, come pudicamente lo si definisce sulla stampa) che ha lavorato gratis per Artoni per 6-8 mesi, ed il ritardo dei pagamenti si è trasformato, per costoro, in una perdita secca, con il rischio (o la certezza), per molti, di dover giungere alla chiusura delle proprie attività.
Peraltro, le ipotesi di sostegno pubblico finora discusse, e tutte da verificare, riguardano comunque soltanto i dipendenti del gruppo e non certo i trasportatori o gli altri fornitori.
A chi pensa che questi imprenditori siano stati semplicemente dei “fessi” a lavorare senza farsi pagare, suggerirei uno stage in una Piccola o media azienda di trasporto; potrebbe tornargli utile a capire che il mondo è un po’ più complicato ed a verificare di persona che quando una parte (il committente) ha uno strapotere, riesce ad imporre anche il ricatto alla parte più debole (il trasportatore).
E la colpa non può essere sempre e solo di chi viene ricattato, senza mai guardare a quella del ricattatore ed a quelle, altrettanto gravi, di chi, questi ricatti permette o non persegue come si dovrebbe.
Piuttosto, altre sono le domande che la vicenda solleva: è normale che il trasportatore faccia da banca, cioè che finanzi il proprio cliente? Questa prassi, tutta italiana, è degna di un paese civile? Che cosa si aspetta per mettere mano ad uno scandalo che vede l’Italia primeggiare in Europa? Quanti trasportatori ancora dovranno saltare, per colpa delle scelte sciagurate dei loro clienti?
LA REGOLARITA’ DELLE IMPRESE
I recenti dati forniti dall’Albo degli Autotrasportatori hanno quantificato il numero delle imprese italiane di autotrasporto in 87 mila circa. Aggiungendo altre 23 mila imprese che, pur iscritte all’Albo, non esistono o non hanno veicoli, si arriva al totale di circa 120 mila “imprese di autotrasporto”.
Già questo ci offre un quadro del settore assai ridimensionato, dopo quasi 10 anni di crisi. Per anni si è infatti continuato a credere in un settore in cui fossero operative e su strada oltre 100 mila imprese.
Ma la questione non finisce qui, perché delle 87 mila imprese “formalmente” in regola, occorre oggi andare a vedere quante siano quelle “effettivamente” in regola.
Il Portale della Regolarità gestito dall’Albo non ha infatti ancora implementato la sua banca dati con il numero di veicoli e di addetti per ogni azienda; così come non ancora attivato l’aspetto della regolarità assicurativa delle imprese iscritte. Dovrà farlo (e lo farà) nei prossimi mesi.
C’è tuttavia un elemento chiaro, sempre ai fini della misurazione della regolarità delle imprese, ed è quello del pagamento delle quote annuali per l’Albo, requisito essenziale per poter continuare a svolgere l’attività di autotrasporto in conto terzi.
Bene, dai dati forniti dallo stesso Albo, circa la metà degli iscritti non è in regola con il pagamento delle quote. Significherebbe che sulle 87 mila imprese iscritte, almeno 35 mila non risulterebbero in regola. E questo solo considerando il fattore quote….
E’ peraltro facile profezia, aspettarsi che dalla verifica della congruità tra il numero degli autocarri e quello degli addetti risultino altre cospicue situazioni di “non regolarità”.
Insomma, senza voler mettere il carro davanti ai buoi, in attesa che l’Albo fornisca i dati ufficiali, è ragionevole prevedere che il numero delle imprese di autotrasporto effettivamente in regola oscilli tra le 50 e le 60 mila: quasi la metà di quelle di cui, comunemente, si discetta in convegni e tavole rotonde.
Il succo di questo ragionamento è che oggi circolano circa 90 imprese di autotrasporto, di cui almeno 30 mila non ne avrebbero diritto, perché non in regola con gli obblighi previsti dalla legge per chi voglia svolgere questa professione.
Questo spiega, in larga parte, il fenomeno della concorrenza sleale che attanaglia questo settore e che non può essere tutto caricato, come talvolta troppo facilmente si fa, sul peso degli autotrasportatori neocomunitari.
Noi siamo perché chi non è in regola o si mette a posto, oppure debba smettere. Ecco che cosa intendiamo per regolarità delle imprese.
Quindi, l’Albo deve svolgere e completare rapidamente il suo lavoro sulla regolarità.
Ma il Governo deve dirci, con i fatti, se la strada che è stata imboccata, che punta a razionalizzare e rendere trasparente il settore, è condivisa, ed essere poi coerente con quel che tutti i giorni afferma.
I COSTI DI ESERCIZIO
La legge obbliga, dal primo gennaio 2015, il Ministero dei Trasporti a pubblicare mensilmente i valori indicativi dei costi di esercizio dell’impresa di autotrasporto.
Il Ministero pubblica questi dati, ma in una maniera del tutto illeggibile e parziale: dunque del tutto inutile per chi volesse davvero conoscere quali siano questi costi indicativi di esercizio.
La nostra richiesta è che vengano pubblicati dei dati certi e leggibili, distinti per tipologia di trasporto e veicoli impiegati. Ovviamente, non potranno avere un valore obbligatorio per legge, e tuttavia ci appaiono indispensabili.
A che cosa infatti servirebbero questi costi indicativi di esercizio? Ad almeno tre esigenze:
1) ai trasportatori per consentire loro di orientarsi su valori oggettivi nel costruire i prezzi dei propri servizi;
2) al committente per avere un riferimento nel valore del servizio richiesto e nella valutazione del preventivo di trasporto ottenuto dai propri potenziali fornitori;
3) al mercato, come strumento di trasparenza nelle transazioni commerciali.
Noi pensiamo che, soprattutto in un mercato dove l’offerta anomala o incongrua è la regola, avere dei parametri oggettivi, tecnicamente ben costruiti, elaborati da un soggetto terzo come è lo Stato, possa e debba aiutare.
E – lo ribadiamo – possa aiutare non tanto né solo i trasportatori; quanto piuttosto lo stesso mercato del traporto merci ad evolvere verso una maggiore trasparenza, rendendo evidenti le innumerevoli situazioni di opacità, dove il più delle volte si nasconde l’illegalità, sia organizzata che “à la carte”.
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