Roma, 6 aprile 2018
Riflessioni a seguito della sentenza della Corte costituzionale sui Costi minimi
Diversi fatti intervenuti recentemente ripropongono una riflessione sullo stato dell’autotrasporto italiano, non inutile forse, anche in vista dei futuri rapporti con il nuovo Governo, quando ci sarà. Non si tratta, per la verità, di elementi del tutto nuovi, ma il loro intrecciarsi offre oggi la possibilità di una lettura più approfondita dei problemi di questo mondo.
In mezzo, tra innovazione e storia, tra precariato e ricerca di via nuove, l’autotrasporto italiano ha ripreso a far girare le ruote. Tuttavia, il suo affanno è tale da farlo apparire condannato a restare prigioniero di una crisi quasi irreversibile. E tutto ciò, nonostante il ridimensionamento del settore (quasi 20 mila aziende in meno negli ultimi anni), nonostante le trasformazioni e ristrutturazioni aziendali, nonostante i salti mortali per ottimizzare i costi e per un riposizionamento delle singole aziende nei rapporti con i propri clienti.
Qual è, dunque, il punto? Il punto è che le cose non vanno.
Perché, salvo eccezioni rarissime, non c’è impresa che, vivendo di solo trasporto, al di là del fatturato, riesca a sviluppare un livello di investimenti adeguato a quanto richiederebbe il mercato (tanto per fare un esempio, abbiamo un parco veicolare vecchissimo, in media di oltre 12 anni), per non parlare degli utili aziendali, scomparsi, ormai, dal vocabolario dei trasportatori.
Pensare che la soluzione sia soltanto nel consigliare di “fare altro, in aggiunta” al trasporto (magazzinaggio, logistica e affini), può essere un auspicio – laddove possibile – ma significa rassegnarsi all’idea che un’area economica enorme, di circa 40 miliardi di euro (quasi il 3% del PIL), quale è l’autotrasporto, debba essere connotata da imprese “costantemente precarie” destinate, nella gran parte, a sparire.
Evidentemente, tutto ciò è semplicemente inaccettabile. Inaccettabile, certamente per le oltre 70 mila imprese che ci lavorano, per le 300 mila famiglie che ci vivono ma, forse, inaccettabile dovrebbe esserlo, prima di tutto, per chiunque si candidi a guidare il Paese. E questo è quello che ci auguriamo. Ma dobbiamo anche aiutare la speranza con qualche idea e qualche iniziativa conseguente.
Da qualunque versante si guardi al nostro mondo (da quello ambientale a quello dell’innovazione tecnologica, della sicurezza, della trasparenza del mercato o dell’efficienza), si arriva sempre ad un unico nodo: il prezzo del trasporto. Questa è la vera questione: il prezzo medio del trasporto non è remunerativo, e risulta insufficiente a garantire una dinamica aziendale lineare.
Si sopperisce a ciò, appunto, aggiungendo qualcos’altro (un po’ di logistica alla buona), oppure, dando vita a organizzazioni opache (ad esempio le cooperative “spurie”) o ancora, allargando l’area dei sub-vettori, meglio se stranieri. Senza contare l’apporto che, a tutto ciò, viene dai capitali riciclati.
E’ evidente che, esattamente in antitesi alle paturnie liberiste del Presidente dell’Autority garante per la concorrenza, questo settore ha bisogno di regole e di controlli.
La recente sentenza della Corte Costituzionale, che ha dichiarato la perfetta legittimità dei costi minimi obbligatori, deve farci riflettere, innanzitutto, in maniera autocritica, sulle troppe timidezze delle Associazioni dell’autotrasporto. Occorre riconoscere che la Corte, nella sua autonomia, si è rivelata più lungimirante delle stesse Associazioni.
Ma soprattutto, la sentenza apre uno scenario nuovo, perché rafforza enormemente l’idea che un costo del trasporto eccessivamente basso può diventare un fattore di rischio generale e che, quindi, il fatto che il suo importo stia entro parametri chiari e plausibili corrisponde all’interesse dell’intera società.
Ovviamente, alla luce della suddetta sentenza, è ancora più chiaro che l’iniziativa attuata, ormai da due anni, dal Ministero dei Trasporti, sotto dettatura dell’Autority per la concorrenza, attraverso la pubblicazione mensile dei cosiddetti valori indicativi, è andata nella direzione opposta a quanto indicato dalla Corte Costituzionale, per la semplice ragione che, di fatto, ha nascosto (rendendoli inapplicabili), anziché fornirli, ogni mese, in maniera trasparente, i valori indicativi del trasporto.
Ci viene detto dalla Corte che la strada della trasparenza e della congruità è, non solo, giusta, ma corrisponde ad un interesse generale, cioè all’interesse, che tutti dovremmo avere, per una società più equilibrata, perché questo è il vero fondamento di un sistema autenticamente democratico.
Mi auguro, che a partire da UNATRAS, saremo in grado di cogliere un’occasione che può consentire, una volta tanto, al nostro mondo di uscire dal guscio del piccolo cabotaggio, attribuendogli una dignità raramente riconosciuta dai massimi livelli istituzionali.
Tutto ciò mi sembra molto utile a dare un’evidenza chiara alle priorità da perseguire nell’immediato futuro e agli strumenti più idonei per avere risultati concreti.
Claudio Donati
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