Roma, 2 agosto 2018
La fase che, dopo settimane di mancato ascolto, ha portato il Ministro Toninelli a incontrare UNATRAS lo scorso 26 luglio, sull’onda della proclamazione del fermo nazionale dell’autotrasporto dal 6 agosto, deve essere considerata nella sua importanza.
Diciamo che UNATRAS, in un mese e mezzo, è riuscita a imporre all’attenzione delle Istituzioni “l’emergenza autotrasporto”. Un capitolo da cui, come troppo spesso è accaduto, anche in passato, la Politica preferisce tenersi alla larga.
L’incontro con il Ministro e con il Sottosegretario Rixi ha prodotto l’apertura del tavolo che avevamo richiesto, in cui saranno affrontate, a partire dalle prossime settimane, sia le questioni che staranno nella Finanziaria 2019 (accise, risorse strutturali, etc), sia quelle più propriamente riguardanti le regole (concorrenza sleale, tempi di pagamento, costi minimi, etc), di cui questo settore ha bisogno per avere una prospettiva di sviluppo efficiente e sano.
Quindi, un risultato politico importante, che sarebbe sbagliato non apprezzare, anche se una valutazione reale potrà essere data solo quando si sarà entrati nel merito delle questioni. E, a quel punto, si prenderanno le decisioni del caso.
In questo quadro, non è superfluo ricordare che UNATRAS, nel revocare il fermo del 6 agosto, ha mantenuto la decisione di ricorrere a tale mezzo, come strumento di risposta, ove si dovesse rendere necessario. Cosa, al momento, da non poter affatto escludere.
Comunque, se in pochi mesi, l’Autotrasporto italiano è passato dagli incontri con il Capo di gabinetto del Ministro, all’incontro con il Ministro (insieme al Sottosegretario), questo qualcosa vorrà pur dire.
Si tratta di un risultato frutto principalmente della compattezza mostrata da UNATRAS e da tutte le sue Associazioni aderenti. Non dobbiamo dimenticarcelo, soprattutto in vista degli impegnativi appuntamenti delle prossime settimane.
Ciò detto, alcuni spunti di interesse, anche ai fini dell’imminente confronto con il Governo, sono stati offerti in questi giorni da uno studio del prestigioso istituto francese CNR (il Comitè National Routier), sull’autotrasporto italiano nel 2017, (consultabile, purtroppo solamente in francese ed inglese), che presenta anche un confronto dei suoi costi con quelli di altri Paesi europei ed, in particolare, con la Francia.
Ne viene confermato un quadro allarmante, di scarsa competitività delle nostre imprese, non solo rispetto ai Paesi dell’Est ma, anche, rispetto a molti Paesi dell’Europa centrale. Tutto ciò a causa degli alti costi di esercizio (dal carburante, al costo del lavoro, ai pedaggi autostradali) che mettono fuori gioco le imprese italiane dal mercato internazionale; terreno su cui, in pochi anni, l’Italia ha perso il 10% dei traffici, a favore essenzialmente dei Paesi dell’Est Europa.
Il suddetto studio conclude rilevando che le imprese italiane hanno risposto alla crisi attraverso l’abbandono dell’attività di puro trasporto (spostandosi sulla logistica) e la delocalizzazione delle attività all’estero (ovviamente nell’Est Europa).
Pur non presentando novità eclatanti, certamente lo studio ha il merito di mettere in chiaro le cause della scarsa competitività delle nostre imprese nel mercato internazionale; scarsa competitività imputabile, sostanzialmente, al differenziale dei costi. Questo deve aiutarci a far capire a chi di dovere che c’è un gap strutturale dei costi tra le nostre imprese e quelle degli altri Paesi europei.
Il documento, infatti, non fa riferimento alcuno a presunti deficit organizzativi o gestionali delle imprese italiane.
Insomma, non è che gli altri siano più bravi di noi: la vera differenza sta nel fatto che, a partire dal costo del lavoro, da quello del gasolio, pedaggi, eccetera, tutto in Italia è più caro.
In queste condizioni, competere è semplicemente impossibile, sia con i concorrenti dell’est che dell’ovest dell’Europa, come dimostrano i numeri.
Quanto alle due linee di reazione delle imprese italiane alla crisi che, secondo lo studio, emergono, vale la pena di rifletterci sopra un momento.
La prima, cioè l’abbandono del “puro e semplice” trasporto da parte delle imprese italiane deve interrogare tutti su quanto sta accadendo.
E’ giusto, o meglio, è conveniente uscire da – cioè, perdere – questo settore economico che, per il nostro Paese, vale oltre il 3% del PIL? Qualcuno si pone il problema di quale fine farà questo patrimonio imprenditoriale? Che cosa si fa, a cominciare dalla Politica, per contrastare questo trend?
Sulla seconda questione (la delocalizzazione all’estero di imprese di autotrasporto italiane), lo studio del CNR dimostra che il fenomeno è consistente. Molte sono le imprese italiane che hanno trasferito la propria attività nell’Europa orientale. Si tratta essenzialmente dei big nazionali dell’autotrasporto che, mentre imprecano contro la UE, ne sfruttano – in questo caso – i vantaggi. Va bene così? E’ possibile almeno cominciare a chiarire chi è vittima di questo processo devastante e chi fa “‘a mujna”?
Questione anche questa che sembra irrilevante ai più. Ai vecchi Governi, ma anche al nuovo che, ad esempio, non ha nemmeno sfiorato l’argomento nel Decreto “Dignità”, che pure poteva essere una buona occasione per affrontare la questione, visto che c’è una parte dedicata a disincentivare le delocalizzazioni delle imprese italiane all’estero.
Per il nostro confronto con il Governo, la fotografia aggiornata del nostro mondo, fatta dall’indagine del CNR potrà essere utile, non solo per comprendere la situazione ma anche per tracciare le direttrici di politica economica che, a partire dalla Finanziaria 2019, dovranno essere definite.
Con i migliori auguri di vacanze serene
Claudio Donati
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