– Editoriale –
Brennero e pacchetto mobilità: l’Europa che abbiamo e quella che vorremmo
Tuttavia, se pensiamo che sia la UE medesima a risolvere la questione, dobbiamo rassegnarci a vedere qualche effetto di una eventuale sua decisione sanzionatoria, nella migliore delle ipotesi, tra qualche anno.
Perché la verità (che noi tutti conosciamo) è che le decisioni non sono in mano alla UE, ma ai singoli Stati membri. Per cui, nel caso specifico, quello che possiamo suggerire è che l’Italia ricerchi un’intesa forte con la Germania, Paese interessato, quanto noi, all’interscambio commerciale con l’Italia; interscambio che non contempla, oggi e per molti anni ancora, alternative valide alla gomma.
Se si considerano i danni arrecati alla nostra economia da questa vicenda, che vanno ben oltre quelli dell’autotrasporto, dobbiamo dire che, né i Governi precedenti, ma neppure questo appena insediato, hanno mostrato la necessaria determinazione, con la complice timidezza del mondo imprenditoriale nostrano.
La riprova sta nella sproporzione tra il battage mediatico scatenatosi, ad esempio, sul tema immigrazione (fenomeno, tra l’altro, fortunatamente in calo), e i trafiletti in quarta pagina riservati alla vicenda del Brennero, da cui passa la gran parte dell’import-export tra Italia e Germania.
Su un piano più generale, questo episodio si presta ad una considerazione che forse non piacerà a molti, perché non è in linea con un diffuso (e giustificato) sentimento antieuropeo; tuttavia, a mio avviso, ha un fondamento logico abbastanza solido.
Se l’Italia vuole restare in Europa (ed il nuovo Governo ha solennemente smentito qualsiasi ipotesi di fuoruscita dell’Italia dalla UE e dall’Euro), deve saper scegliersi gli alleati giusti per portare avanti le sue battaglie, finalizzate a negoziare un peso diverso e maggiore del nostro Paese all’interno della compagine europea. La posizione dell’Austria sul Brennero è un esempio eclatante di una politica antieuropea, perché impostata sul privilegio dei (presunti) interessi nazionali di quel Paese. L’Italia, in questo caso, è vittima di chi vuole “meno Europa”.
Analogamente, appaiono assai problematiche eventuali intese con alcuni Paesi dell’est Europa, Ungheria in testa, quando si consideri la loro doppiezza nel pretendere, da un lato, tutti i vantaggi dello stare in Europa (e l’autotrasporto ne sa qualcosa, se pensiamo al cabotaggio, distacco, concorrenza sleale, etc) e nello stesso tempo, opporsi a qualsiasi impegno solidale a cui vengono chiamati dall’Europa (vedi gestione dei flussi migratori).
I Governi, ovviamente, conoscono bene la questione. Ma, dobbiamo averla ben presente anche noi, come operatori, che stiamo pagando da anni i prezzi di un allargamento della UE avvenuto all’insegna, di una oggettiva e, spesso inconciliabile, differenza di interessi ma, soprattutto, all’insegna dell’equivoco del “come si deve stare in Europa”, cioè con quali diritti e quali doveri.
Lo stop recentissimo dato in settimana dal Parlamento Europeo alle proposte della Commissione Trasporti sul Pacchetto Mobilità, che prevedevano importanti innovazioni, rispetto alle regole attuali, in tema di cabotaggio, distacco, orari di guida e di riposo etc, è un altro segnale (che ci auguriamo possa venir corretto nella prossima seduta di luglio) di come questo modo di procedere sia insostenibile.
Oggi siamo forse giunti ad un bivio e credo che questo sia un fatto positivo. “Questa” Europa non ha nessun appeal per i cittadini, con l’eccezione di chi fa affari con delocalizzazioni nei Paesi dallo sconto fiscale facile o con l’acquisizione di manodopera a basso costo.
La scelta da fare è se serve “più Europa” o “meno Europa”.
Penso che, nonostante tutto, alle nostre imprese serva “più Europa”; che significa un mercato unico veramente tale, con regole uguali per tutti e dovunque.
Tecnicamente, si chiama “armonizzazione” delle regole. Una parola scritta in mille documenti ufficiali della UE, ma rimasta lettera morta, per mancanza di volontà politica, dovuta all’opposizione dei Governi nazionali, contrari a cedere quote di potere, a partire da fisco e previdenza.
Se questo nodo, che è decisivo, non dovesse essere positivamente e rapidamente sciolto, è indubitabile che vincerà il partito del “meno Europa” o, forse, del “no Europa”.
Nel frattempo, l’auspicio è che il nostro Governo, oltre ai proclami, sappia operare per tutelare al meglio le nostre imprese. Sotto questo aspetto, quello del Brennero è un banco di prova certamente non secondario. Ma, non di meno, sarà importante vedere se i nostri parlamentari europei, a partire da quelli espressione dell’attuale maggioranza governativa, sapranno difendere le nostre imprese il prossimo luglio a Strasburgo, in occasione del voto sul Pacchetto Mobilità. In altre parole, siamo curiosi, non senza una punta di scetticismo, di vedere se ci sarà una posizione ”italiana” o se i parlamentari italiani voteranno, come spesso accade, in ordine sparso.
Non è questione di poco conto, perché è evidente che, banalmente, se vogliamo essere più forti in Europa, dovremmo essere prima di tutto uniti in casa nostra. Concetto tanto ostico da noi, quanto scontato nei Paesi con cui dobbiamo confrontarci.
Claudio Donati