– Editoriale –
Anno nuovo. Nuove devono essere anche le ricette
L’inizio del 2024 sa un po’ di antico. Dopo qualche anno (credo cinque) di stop, si è tornati alla vecchia consuetudine dell’aumento dei pedaggi autostradali (2,3% adesso più ulteriori ritocchi ad aprile), decisi dopo Natale e applicati da Capodanno. Tutto, purtroppo, facilmente prevedibile (e previsto); a cui vanno aggiunti gli aumenti dei noli dei traghetti dal primo di gennaio, nonché gli aumenti sui premi assicurativi. Altrettanto facile è ipotizzare che la cosa non si fermi qui, perché, tanto per fare un esempio, c’è in ballo il rinnovo del contratto di lavoro (che avviene in un quadro di scarsità di autisti e di un’inflazione che ha taglieggiato il potere d’acquisto delle buste paga), e poi l’estensione della tassa ambientale denominata ETS anche all’Autotrasporto.
Diversamente da Armatori e Concessionari Autostradali, è da escludere che i Trasportatori siano in grado di trasferire questi aumenti sulle tariffe di trasporto, vista la loro debolezza cronica, accentuata anche dal rallentamento dell’economia. Per cui, nei prossimi due anni, sarà assai difficoltoso per moltissime imprese far quadrare i conti. E, questo a prescindere, dall’avvicinarsi delle scadenze sulla transizione ecologica (il programma “Fit for 55”), a cui ci presentiamo con il parco veicolare più vecchio d’Europa.
Se si tratta di previsioni troppo pessimistiche (cosa che, francamente, spero) sarà il tempo a dirlo.
Quel che è certo è che i camion continueranno a correre sulle nostre strade. Anzi, nonostante tutti gli sforzi di riconversione verso una mobilità intermodale, la quota della gomma è destinata ad essere preponderante ancora a lungo. Il vero problema riguarda il “come” questa attività sarà svolta: pochi al comando e tutti gli altri a correre? È una delle ipotesi già in corso d’opera.
Come al solito, nel frattempo, c’è già chi sta pensando di risolvere il problema tornando a bussare alle casse dello Stato. Può andare anche bene, a condizione di essere consapevoli che, comunque la si giri, nessun governo sarà in grado di fornire quei livelli di aiuti che sarebbero necessari, semplicemente perché non ci sono i soldi. A meno che non si tratti della solita “manovra di distrazione di massa”: chiedere soldi perché tutto rimanga così come è oggi, con i trasportatori vessati dai propri committenti, da tenere in vita con qualche pubblica mancia, senza neppure far loro balenare l’idea che questo mestiere possa – a certe condizioni – tornare ad essere redditivo.
Oltretutto, perché lo Stato, con i soldi dei cittadini – anzi, di quei cittadini che pagano le tasse – dovrebbe dare all’Autotrasporto quello che non riesce a farsi dare dai propri clienti?
In ogni caso, la vera questione è: dove si trovano questi soldi che mancano?
Secondo Noi, parecchi stanno nel cosiddetto “Mercato”. Un mercato, quello dell’Autotrasporto, che vale 60 miliardi di euro. In mano, per la metà (quasi 30 miliardi), all’1% degli Iscritti all’Albo degli Autotrasportatori, cioè a mille imprese di autotrasporto che, però, eseguono direttamente – con autoveicoli propri – meno del 10% del loro fatturato (diciamo 3 miliardi di euro). Gli altri 27 miliardi vengono venduti (tecnicamente, dati in subvezione) ad altri trasportatori. Rimane attaccata, in questa operazione, una “provvigione” che, a essere prudenti, vale almeno 3 miliardi di euro all’anno. Una cifra enorme, spesso frutto di pura intermediazione che, semplicemente (si fa per dire), dando attuazione alla norma europea (il Regolamento UE 1055 art.5 lett. g) – che l’Italia non ha ancora recepito -, renderebbe “disponibili” a chi, con i propri camion e con le proprie capacità, volesse misurarsi su livelli imprenditoriali superiori, quote di mercato di diversi miliardi di euro. Fantascienza? Vorremmo essere smentiti ma, finora, non è successo. In ogni caso, confermiamo la nostra disponibilità a eventuali confronti.
Nel frattempo, quello che registriamo è che, seppur con molta timidezza, qualcuno nel mondo associativo sta sintonizzandosi su questo tema. Ne prendiamo atto con una certa soddisfazione, confermando che, su questo terreno, Assotir è aperta anche ad iniziative comuni, sempre alla condizione che i contenuti (in questo caso, il recepimento della citata norma europea, che interviene a disciplinare la subvezione)) siano alla base di eventuali sinergie.
Claudio Donati